Sono tredici altari in tufo, grandi, imponenti. Quasi brutali nella loro arcaicità. Tredici rettangoli in fila uno dopo l’altro su una lunghezza di circa cinquanta metri. E ce n’è persino un quattordicesimo, defilato rispetto agli altri. Il colpo d’occhio è grandioso. Non serve fantasia a immaginare antichi sacerdoti che, uno dopo l’altro, versano offerte di vino e miele sugli altari, allora tutti dipinti di rosso.
A pochi passi dagli altari si può trovare l’heroon di Enea descritto già dallo storico Dionigi di Alicarnasso, cioè il tumulo di VII secolo a.C. che gli antichi ritenevano dedicato alla memoria del grande troiano. E’ insomma un luogo ricco di suggestioni e meraviglie, nel cuore di un lembo di campagna romana rimasto miracolosamente intatto
Il santuario di Minerva
Lì giovani donne e fanciulli si recavano per augurarsi un felice matrimonio, o un felice passaggio all’età adulta. Offrivano alla dea statue in terracotta, spesso anche a grandezza reale, che li ritraevano in atto di offrire una colomba o una melagrana, simboli di pace e prosperità, oppure una palla o una trottola, giochi di fanciulli da abbandonare per sempre. E tutti questi fanciulli e fanciulle – oltre un centinaio – sono i protagonisti del piccolo ma splendido museo che dal 2005 racchiude in sé tutte le storie e le leggende di Lavinium. . Ad accogliere chi entra, da vera padrona di casa, è ovviamente la grande statua di Minerva armata, l’austera “Tritonia virgo” celebrata da Virgilio nel canto XI dell’Eneide, nume tutelare delle donne latine. Lavinium.